Per non far saltare la gara, Sala avrebbe anche falsificato una data, retrodatandola. E poi avrebbe “aggiustato” con la Mantovani le cose: avevano vinto il 3 agosto 2012 offrendo soli 165,1 milioni. Il commissario si accorda concedendo alla Mantovani prezzi più alti per nuovi lavori aggiuntivi, in modo da compensare il mega-ribasso iniziale. Per esempio, i 6mila alberi di Expo, comprati in un vivaio a 266 euro l’uno, sono stati pagati da Sala alla Mantovani 716 euro l’uno. Con un contratto affidato nel luglio 2013, senza gara, all’impresa per un importo di 4,3 milioni; la Mantovani nel novembre successivo stipula un contratto di subfornitura con un’impresa vivaistica per 1,6 milioni.
L’inchiesta della Procura di Milano rileva tutte queste anomalie, ma è azzoppata dallo scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Bruti Liberati aveva avocato ogni inchiesta sull’esposizione universale, costituendo una “Area omogenea Expo” di cui aveva assunto personalmente il coordinamento, esautorando Robledo. Quella struttura organizzativa era poi stata dichiarata non legittima.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, a cose fatte, ringrazierà Bruti per la sua “sensibilità istituzionale”. Ma quando nel 2016 la Procura chiude l’indagine e chiede l’archiviazione, prima il gip Andrea Ghinetti non l’accetta, poi la Procura generale avoca l’inchiesta e chiede altri sei mesi per indagare, iscrivendo anche Sala tra gli indagati.
Fatti minori, si difende Sala, compiuti “in buona fede” per finire i lavori in tempo per aprire Expo. Se anche fosse così, resta da spiegare perché il commissario Expo che aveva forzato le norme e aggirato le regole sia poi stato candidato sindaco: mettendo a rischio Milano e la sua amministrazione e provocando l’attuale crisi istituzionale.
Di Gianni Barbacetto
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