mercoledì 30 novembre 2016

PRESIDENTE DEL CNEL SBUGIARDA RENZI: "CNEL NON SARA' ABOLITO, ECCO PERCHE'"

(…) l’abolizione di questo organo consultivo sulla legislazione economica e sociale previsto dall’articolo 99 della Costituzione.

Delio Napoleone, 70 anni, imprenditore abruzzese, vicepresidente del Cnel salito alla presidenza dopo le dimissioni di Antonio Marzano l’anno scorso, ha aperto i lavori sul tema La dirigenza pubblica ai tempi della riforma con una domanda: «Mi sono chiesto se il Cnel serva ancora o no. Ho lasciato che rispondessero docenti, sindacalisti ed esperti. Hanno chiarito che serve un luogo dove le parti sociali si incontrino. Un posto pubblico e regolato, non un ristorante privato dove qualcuno più debole finisce per pagare il conto a beneficio di tutti gli altri».

Una metafora chiara la sua, ma anche Confindustria cui lei deve la nomina è per l’abolizione del Cnel.

«Tutti hanno detto sì, chi più chi meno. Il Cnel non risponde al modello economico post globalizzazione. Ma va riformato, non abolito. In Italia serve ancora un posto dove esprimere pareri e promuovere iniziative legislative per lo sviluppo del Paese».

Renzi non sembra del parere.

«Al Cnel sono venuti tutti, da Napolitano a Monti e Letta. Salvo Renzi». Come mai? «Non lo so, non l’ho né sentito né cercato. Vivo la presidenza in modo defilato come servizio».


Non ha fatto niente perché cambiasse idea?
«Non sta a me. Non devo convincere nessuno. È il Parlamento che deve decidere».
Ma perché non si dimette?
«Ho un obbligo costituzionale. Sarei Schettino che abbandona la nave».
Il suo predecessore Marzano si è dimesso.
«Lo domandi a lui il perché».
Ma è vero che la direttrice generale di Confindustria, Marcella Pannucci, le ha chiesto di dimettersi?
«Sì e le ho spiegato quello che sto dicendo a lei. Ne ha prese atto».
Perché glielo ha chiesto secondo lei?
«Non lo so. Vorrebbero riformare il Cnel, ma lo lasciano senza guida».

Cosa succede dopo il referendum?
«Io osservo il Sì e il No, per me sono equivalenti. In entrambi Delio Napoleone i casi il Cnel va rivisto».

Scusi, ma se vince il Sì non viene abolito?

«Durerà in ogni caso. Se vince il Sì con una forma, se vince il No con un’altra. Esiste in ogni paese europeo, è previsto nei trattati. Se resta Renzi sarà lui stesso a riformarlo».
Dica la verità: lei vota Sì perché pensa che il Cnel non lo aboliscono comunque.
«Quel che voto io è ininfluente. Posso dirle che in famiglia siamo molto divisi tra Sì e No».
Un’opinione diffusa è che, comunque vada, la riforma verrà poco attuata. Che ne pensa?
«Non sono d’accordo, la Costituzione ha bisogno di essere rivista. Naturalmente se la discussione sulla modifica è civile come la nostra intervista non ci sono problemi, se non lo è non va bene. La riforma diventa lesa maestà se la si personalizza troppo o la si carica di significati diversi».
Avete letto bene, è lo stesso Presidente del Cnel a sbugiardare Renzi e Boschi sulla riforma della Costituzione, che prevedeva l’abolizione del Cnel come punto fondamentale del nuovo testo.
Dal 2015 a oggi, come riporta Il Fatto Quotidiano, da quando cioè Renzi ha annunciato la soppressione e tagliato i finanziamenti, ben 40 consiglieri sono fuggiti (oggi sono ridotti a 24) e l’attività del Cnel è quasi paralizzata, le commissioni smembrate, i consulenti e gli esperti volatilizzati.
Basta dire che in quasi 60 anni di vita il Consiglio ha partorito solo undici proposte di legge, e mai nessuna è stata approvata. I 121 consiglieri della cosiddetta «terza camera dello Stato» (il cui presidente godeva di autoblu, portavoce, addetti vari e 160 mila euro l’anno di indennità), nel triennio 2008-2010 sono costati ben 18,2 milioni l’anno. E Gualaccini per anni ha denunciato «un assenteismo micidiale».
Per intascare il gettone di presenza di 2.154 euro al mese bastava presenziare per pochi minuti all’assemblea mensile, e l’assenza, al massimo, portava a un taglio del 15 per cento dell’indennità. Di questo simpatico assegno mensile hanno goduto, dal 1948 al 2015, dai sindacalisti (ultima la trimurti Camusso-Angeletti-Bonanni) ai rappresentanti di Confindustria (Emma Marcegaglia compresa), con particolare soddisfazione dei pensionati che a Villa Lubin, la splendida sede del consiglio, avevano trovato una più proficua alternativa alle bocciofile.
Tutto ciò ha portato acqua, inevitabilmente, al mulino della propaganda Renzi-Boschi: «La soppressione del Cnel porta ad un risparmio annuo di circa 20 milioni», ha garantito la ministra l’8 giugno, rispondendo in aula alla Camera a un’interrogazione di Arturo Scotto e altri deputati di Sinistra italiana. Ma come si fa a risparmiare 20 milioni su una spesa di 9 milioni scarsi? Se nel 2011, con il Cnel al gran completo (121 consiglieri), il bilancio era di circa 19 milioni, nel 2015 (con i consiglieri ridotti a 64) il consuntivo è stato di 8,7?. Dal primo gennaio 2015, come ha deciso la Legge di stabilità, sono state infatti cancellate tutte le indennità, i rimborsi spese e i soldi per le varie attività. Basta consulenze, incarichi e studi affidati agli amici degli amici. «Tutto quello che facciamo oggi noi 24 consiglieri rimasti, lo facciamo per spirito di servizio. Gratuitamente e senza far spendere soldi allo Stato», assicura Gualaccini. A spese dello Stato è rimasto solo il personale, tra i 4 e 5 milioni di euro l’anno, e il costo della struttura, che è sì magnifica ma vecchiotta e dura da mantenere: 3 milioni. Il personale, in caso di vittoria del Sì, era già destinato alla Corte dei Conti, la sede al Csm. Ma non è ancora detta l’ultima parola.
Come riporta anche Alessandra Mignolli, professore associato di Diritto dell’Unione europea presso l’Università Sapienza di Roma, “l’abolizione del Cnel, impatta direttamente sul funzionamento del Comitato economico e sociale dell’Unione europea. Quest’ultimo rappresenta gli interessi variegati della società civile (associazioni di datori di lavoro, lavoratori, consumatori, organizzazioni di assistenza sociale, ecc.) ed è chiamato a esprimere il proprio parere consultivo su tutti gli atti legislativi adottati dalle istituzioni dell’Unione nell’attuazione delle politiche che incidono su tali interessi.
I pareri del Cese non sono vincolanti per le istituzioni dotate di potere decisionale, ma queste ultime hanno l’obbligo di richiederli e, una volta ricevuti, di esaminarli.
Per svolgere la sua funzione, secondo il tipico strumento amministrativo europeo della rete, il Cese si pone in relazione con le analoghe strutture nazionali – il Cnel nel caso italiano – al fine di tenere conto in modo più incisivo e capillare delle diverse articolazioni della società civile e delle diverse esigenze economiche degli Stati membri.
Con l’abolizione del Cnel al Comitato economico e sociale dell’Unione europea verrà a mancare una maglia in questa rete di relazioni, e probabilmente l’Italia dovrà trovare una diversa struttura cui attribuire le indicate funzioni di raccordo oppure crearne un’altra”.
In parole povere: Matteo Renzi troverà un modo per far sì che tutto cambi restando come prima, cambierà il nome a questo ente o ne inventerà uno nuovo con le stesse funzioni. Ennesima bugia a cui gli italiani continuano a credere.
Condividi questo articolo, c’è ancora tempo per informare gli italiani prima del 4 dicembre.

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