mercoledì 30 novembre 2016

PRESIDENTE DEL CNEL SBUGIARDA RENZI: "CNEL NON SARA' ABOLITO, ECCO PERCHE'"

(…) l’abolizione di questo organo consultivo sulla legislazione economica e sociale previsto dall’articolo 99 della Costituzione.

Delio Napoleone, 70 anni, imprenditore abruzzese, vicepresidente del Cnel salito alla presidenza dopo le dimissioni di Antonio Marzano l’anno scorso, ha aperto i lavori sul tema La dirigenza pubblica ai tempi della riforma con una domanda: «Mi sono chiesto se il Cnel serva ancora o no. Ho lasciato che rispondessero docenti, sindacalisti ed esperti. Hanno chiarito che serve un luogo dove le parti sociali si incontrino. Un posto pubblico e regolato, non un ristorante privato dove qualcuno più debole finisce per pagare il conto a beneficio di tutti gli altri».

Una metafora chiara la sua, ma anche Confindustria cui lei deve la nomina è per l’abolizione del Cnel.

«Tutti hanno detto sì, chi più chi meno. Il Cnel non risponde al modello economico post globalizzazione. Ma va riformato, non abolito. In Italia serve ancora un posto dove esprimere pareri e promuovere iniziative legislative per lo sviluppo del Paese».

Renzi non sembra del parere.

«Al Cnel sono venuti tutti, da Napolitano a Monti e Letta. Salvo Renzi». Come mai? «Non lo so, non l’ho né sentito né cercato. Vivo la presidenza in modo defilato come servizio».


Non ha fatto niente perché cambiasse idea?
«Non sta a me. Non devo convincere nessuno. È il Parlamento che deve decidere».
Ma perché non si dimette?
«Ho un obbligo costituzionale. Sarei Schettino che abbandona la nave».
Il suo predecessore Marzano si è dimesso.
«Lo domandi a lui il perché».
Ma è vero che la direttrice generale di Confindustria, Marcella Pannucci, le ha chiesto di dimettersi?
«Sì e le ho spiegato quello che sto dicendo a lei. Ne ha prese atto».
Perché glielo ha chiesto secondo lei?
«Non lo so. Vorrebbero riformare il Cnel, ma lo lasciano senza guida».

Cosa succede dopo il referendum?
«Io osservo il Sì e il No, per me sono equivalenti. In entrambi Delio Napoleone i casi il Cnel va rivisto».

Scusi, ma se vince il Sì non viene abolito?

«Durerà in ogni caso. Se vince il Sì con una forma, se vince il No con un’altra. Esiste in ogni paese europeo, è previsto nei trattati. Se resta Renzi sarà lui stesso a riformarlo».
Dica la verità: lei vota Sì perché pensa che il Cnel non lo aboliscono comunque.
«Quel che voto io è ininfluente. Posso dirle che in famiglia siamo molto divisi tra Sì e No».
Un’opinione diffusa è che, comunque vada, la riforma verrà poco attuata. Che ne pensa?
«Non sono d’accordo, la Costituzione ha bisogno di essere rivista. Naturalmente se la discussione sulla modifica è civile come la nostra intervista non ci sono problemi, se non lo è non va bene. La riforma diventa lesa maestà se la si personalizza troppo o la si carica di significati diversi».
Avete letto bene, è lo stesso Presidente del Cnel a sbugiardare Renzi e Boschi sulla riforma della Costituzione, che prevedeva l’abolizione del Cnel come punto fondamentale del nuovo testo.
Dal 2015 a oggi, come riporta Il Fatto Quotidiano, da quando cioè Renzi ha annunciato la soppressione e tagliato i finanziamenti, ben 40 consiglieri sono fuggiti (oggi sono ridotti a 24) e l’attività del Cnel è quasi paralizzata, le commissioni smembrate, i consulenti e gli esperti volatilizzati.
Basta dire che in quasi 60 anni di vita il Consiglio ha partorito solo undici proposte di legge, e mai nessuna è stata approvata. I 121 consiglieri della cosiddetta «terza camera dello Stato» (il cui presidente godeva di autoblu, portavoce, addetti vari e 160 mila euro l’anno di indennità), nel triennio 2008-2010 sono costati ben 18,2 milioni l’anno. E Gualaccini per anni ha denunciato «un assenteismo micidiale».
Per intascare il gettone di presenza di 2.154 euro al mese bastava presenziare per pochi minuti all’assemblea mensile, e l’assenza, al massimo, portava a un taglio del 15 per cento dell’indennità. Di questo simpatico assegno mensile hanno goduto, dal 1948 al 2015, dai sindacalisti (ultima la trimurti Camusso-Angeletti-Bonanni) ai rappresentanti di Confindustria (Emma Marcegaglia compresa), con particolare soddisfazione dei pensionati che a Villa Lubin, la splendida sede del consiglio, avevano trovato una più proficua alternativa alle bocciofile.
Tutto ciò ha portato acqua, inevitabilmente, al mulino della propaganda Renzi-Boschi: «La soppressione del Cnel porta ad un risparmio annuo di circa 20 milioni», ha garantito la ministra l’8 giugno, rispondendo in aula alla Camera a un’interrogazione di Arturo Scotto e altri deputati di Sinistra italiana. Ma come si fa a risparmiare 20 milioni su una spesa di 9 milioni scarsi? Se nel 2011, con il Cnel al gran completo (121 consiglieri), il bilancio era di circa 19 milioni, nel 2015 (con i consiglieri ridotti a 64) il consuntivo è stato di 8,7?. Dal primo gennaio 2015, come ha deciso la Legge di stabilità, sono state infatti cancellate tutte le indennità, i rimborsi spese e i soldi per le varie attività. Basta consulenze, incarichi e studi affidati agli amici degli amici. «Tutto quello che facciamo oggi noi 24 consiglieri rimasti, lo facciamo per spirito di servizio. Gratuitamente e senza far spendere soldi allo Stato», assicura Gualaccini. A spese dello Stato è rimasto solo il personale, tra i 4 e 5 milioni di euro l’anno, e il costo della struttura, che è sì magnifica ma vecchiotta e dura da mantenere: 3 milioni. Il personale, in caso di vittoria del Sì, era già destinato alla Corte dei Conti, la sede al Csm. Ma non è ancora detta l’ultima parola.
Come riporta anche Alessandra Mignolli, professore associato di Diritto dell’Unione europea presso l’Università Sapienza di Roma, “l’abolizione del Cnel, impatta direttamente sul funzionamento del Comitato economico e sociale dell’Unione europea. Quest’ultimo rappresenta gli interessi variegati della società civile (associazioni di datori di lavoro, lavoratori, consumatori, organizzazioni di assistenza sociale, ecc.) ed è chiamato a esprimere il proprio parere consultivo su tutti gli atti legislativi adottati dalle istituzioni dell’Unione nell’attuazione delle politiche che incidono su tali interessi.
I pareri del Cese non sono vincolanti per le istituzioni dotate di potere decisionale, ma queste ultime hanno l’obbligo di richiederli e, una volta ricevuti, di esaminarli.
Per svolgere la sua funzione, secondo il tipico strumento amministrativo europeo della rete, il Cese si pone in relazione con le analoghe strutture nazionali – il Cnel nel caso italiano – al fine di tenere conto in modo più incisivo e capillare delle diverse articolazioni della società civile e delle diverse esigenze economiche degli Stati membri.
Con l’abolizione del Cnel al Comitato economico e sociale dell’Unione europea verrà a mancare una maglia in questa rete di relazioni, e probabilmente l’Italia dovrà trovare una diversa struttura cui attribuire le indicate funzioni di raccordo oppure crearne un’altra”.
In parole povere: Matteo Renzi troverà un modo per far sì che tutto cambi restando come prima, cambierà il nome a questo ente o ne inventerà uno nuovo con le stesse funzioni. Ennesima bugia a cui gli italiani continuano a credere.
Condividi questo articolo, c’è ancora tempo per informare gli italiani prima del 4 dicembre.

TUTTI I MOTIVI PER DIRE NO IL 4 DICEMBRE. CONDIVIDI PER INFORMARE

Vi mostriamo 10 punti per dire no –

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Diamo qualche dato dell’Italia del 2016: disoccupazione giovanile con punte del 67% in alcune aree; siamo il primo Paese in Europa per livello di corruzione percepita; ci sono 11 milioni di persone che non hanno i mezzi per curarsi e circa 10 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà – stabilita da Eurostat/Istat. Non parliamo di senzatetto, ma di laureati che non trovano lavoro, o di genitori separati o divorziati, o professionisti che il lavoro lo hanno perso. Abbiamo un’emergenza immigrazione e un’emergenza lavoro. In tutto questo, la priorità degli italiani era stravolgere 47 articoli della Costituzione? NO. Renzi avrebbe potuto fare una seria legge contro la corruzione, un vero piano per creare posti di lavoro, e non la Repubblica fondata sui Voucher e sui fallimenti del Jobs Act, dare avvio al reddito di cittadinanza. Invece decide di riformare la legge più importante che tiene unito il Paese e ci assicura un assetto democratico. Perché tanta fretta? Perché costringere il Paese a scegliere su qualcosa che non è affatto prioritario? Tra l’altro queste modifiche non porteranno ad alcun incremento degli investimenti esteri nel Paese perché tutti i deterrenti (corruzione, processi lenti e senza certezza della pena) resteranno al loro posto, anzi, l’accrescere della burocrazia sarà un ulteriore ostacolo. La riforma è evidentemente un pretesto per assicurarsi un potere personale amplificato e distribuire poltrone e immunità parlamentare. Questa è la loro priorità.
2

Chi sostiene il sì, dice che il Paese è fermo e bisogna cambiare la Costituzione. La realtà è che il Paese è fermo per colpa dei fallimenti del governo, in materia di scuola, lavoro, anticorruzione. Stanno addossando le loro incapacità sulla carta fondamentale dello Stato. Il risultato di questa riforma sarà il caos istituzionalizzato: i presidenti delle due Camere dovranno trovare un accordo su quale iter una legge si dovrà seguire, si aprono 10 scenari diversi (alcuni calcolano che siano anche di più i futuri iter legislativi, a fronte dei due attuali). In caso di mancato accordo – caso molto probabile, soprattutto se i due presidenti apparterranno a forze politiche diverse – non è stato previsto nessun meccanismo di risoluzione del conflitto e dovrà intervenire la Corte costituzionale, con conseguente rallentamento e paralisi. In ogni caso il bicameralismo paritario resta per 16 ambiti materiali per cui non cambierà nulla e il nuovo Senato potrà sempre chiedere di esaminare i testi licenziati dalla Camera, col risultato di tre passaggi minimi e un perdita di tempo di un mese, perché la Camera potrà sempre rigettare i rilievi del nuovo Senato. Se questo è il cambiamento, noi diciamo no

3

Avremo un Parlamento composto quasi esclusivamente da nominati. Ai cittadini restano le spese di mantenimento dei senatori ma non la possibilità di eleggerli, nonostante la Corte costituzionale abbia bocciato il “porcellum” anche per l’assenza delle preferenze. Riforma e nuova legge elettorale, permetteranno ai politici di eleggere altri politici e occupare tutto il Senato e la stragrande maggioranza della Camera. I nuovi senatori saranno nominati fra i componenti dei consigli regionali e saranno premiati i più fedeli al capopartito oppure quelli che hanno guai con la giustizia considerato che la nomina a senatore contiene anche il bonus dell’immunità. Insomma dei soldatini che non faranno alcuna resistenza ai provvedimenti in cui ci sarà un esplicito interesse per gli amici della casta.

4

Per comprendere le conseguenze nefaste di questa riforma bisogna ricordare che i senatori saranno nominati dai partiti fra sindaci e consiglieri regionali, cioè dalla classe politica che risulta ad oggi la più corrotta in Italia (basti ricordare il caso dei consiglieri regionali lombardi coinvolti nello scandalo sulla sanità, per citare solo uno tra i tanti esempi). Questi nuovi senatori potranno godere dell’immunità parlamentare, diaria e rimborsi vari e fissarsi da soli le proprie indennità aggiuntive. Pur non avendo specifiche competenze in materia, dovranno legiferare sulle future modifiche alla Costituzione e su materie che riguardano l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea e il diritto di famiglia Inoltre opereranno senza vincolo di mandato in Parlamento, cioè potranno liberamente cambiare casacca quando gli aggrada e fare il salto della poltrona da un partito all’altro. Non dovranno neanche rappresentare i territori nei quali sono stati eletti, ma risponderanno solo ai partiti che li hanno fatti nominare.

5

Alla mancata abolizione del Senato si aggiunge la confusione provocata dai procedimenti legislativi che passano da due (quello costituzionale e quello ordinario) a dieci. Inoltre, l’iter per approvare una legge, invece di essere più breve, diventerà più lungo: sono previste circa 16 materie che dovranno passare obbligatoriamente all’esame delle due Camere e c’è il rischio – che è quasi una certezza- che si inneschino dei conflitti di attribuzione e competenza, cioè che il presidente della Camera e quello del Senato debbano decidere quale iter legislativo adottare: monocamerale, bicamerale, monocamerale rinforzato, ecc. Dal momento che una legge raramente riguarda un solo tema, una sola materia, sarà difficile stabilirlo… figuriamoci se i presidenti saranno di due partiti diversi! In caso di conflitto, chi ha scritto la riforma non ha previsto nessun meccanismo di risoluzione, motivo per cui dovrà intervenire la Corte Costituzionale, con conseguente paralisi dell’attività del Parlamento; la risoluzione dei conflitti attraverso la Corte può durare mesi. In ogni caso, il nuovo Senato può sempre chiedere di analizzare i testi approvati dalla Camera e proporre cambiamenti. La Camera potrà anche non prenderli in considerazione, col risultato che si allungano i tempi e tutto il lavoro del Senato sarà sprecato.


6

Dopo i proclami di Renzi di 1 miliardo di risparmi, poi corretti a 500 milioni (secondo il Ministro Boschi), è intervenuta la Ragioneria Generale dello Stato, organo governativo, che ha certificato circa 57 milioni di risparmio all’anno. Tradotto: 90 centesimi a italiano all’anno circa. Il solo referendum costerà 300 milioni di euro. Se i partiti avessero votato la nostra proposta di legge per la riduzione degli stipendi di tutti i parlamentari avremmo risparmiato in poche ore circa 90 milioni di euro, ma hanno insabbiato la proposta in Commissione. E’ evidente che il tema del presunto risparmio è una scusa, per allettare alcuni elettori e trarli in inganno su una riforma che, letteralmente, si compra i loro diritti per un caffè all’anno.

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La riforma Renzi-Boschi-Verdini interviene sul titolo V introducendo una clausola di supremazia, che sarebbe più corretto chiamare “clausola di sottomissione”. Con questa, lo Stato ha potere assoluto in materia di trasporti e distribuzione dell’energia. In pratica, può decidere di imporre a un territorio un gasdotto, come quello che passerà sotto Amatrice, in piena zona colpita dal sisma, oppure il TAP, per il quale bisognerà abbattere centinaia di ulivi secolari pugliesi. Contro queste decisioni, ai cittadini non resterà nessun mezzo per opporsi, dato che regioni e Comuni non avranno più voce in capitolo. Lo stesso discorso si applica a opere quali il TAV Torino-Lione, ma anche discariche ed inceneritori, che potranno essere dichiarati dallo Stato di “interesse nazionale”. Se Renzi parla di “Senato delle autonomie”, forse parla di un altro Senato, non certo di quello previsto dalla sua riforma.

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Senatori e sindaci in modalità via-vai entreranno ed usciranno dal Senato al ritmo delle elezioni regionali ed amministrative dei rispettivi territori, tutte sfasate. Questo è particolarmente grave nel caso dei sindaci, che saranno costretti a lasciare le loro città per recarsi a Roma più volte al mese, e probabilmente anche più giorni alla settimana. E’ stato inserito in Costituzione, infatti, l’obbligo di partecipare ai lavori delle commissioni parlamentari. Inoltre, non è chiaro come verranno scelti i 21 sindaci (su circa 8000) e i 74 consiglieri regionali che dovranno fare parte del nuovo Senato: le modalità verranno stabilite da una legge successiva, che siamo costretti firmare in bianco, se dicessimo sì alla riforma.

9

Ad oggi, i cittadini possono partecipare all’attività legislativa del Parlamento tramite le leggi di iniziativa popolare, con la raccolta di 50 mila firme, che vengono poi esaminate in Parlamento. E’ uno degli strumenti a disposizione degli italiani che deriva dal principio della sovranità popolare sancito dalla Carta costituzionale. Portando la soglia delle firme da raccogliere a 150 mila, sarà molto più difficile per i cittadini suggerire delle proposte di legge al Parlamento. Lo stesso discorso vale per lo strumento del referendum abrogativo. È vero che è stato ridotto il quorum che renderebbe valida la consultazione popolare (quorum che, dal 50% più uno degli aventi diritto, passerebbe alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni per la Camera), ma la validità della consultazione sarà più facile solo se si raccolgono ben 800 mila firme (300 mila in più del numero attuale). In questo modo aumenta la distanza fra gli elettori e le istituzioni e la possibilità che i cittadini hanno per esprimersi attraverso gli strumenti della democrazia diretta viene ulteriormente ostacolata.

10

Questa riforma può produrre una deriva autoritaria. Introduce una forma di presidenzialismo mascherato privo dei meccanismi di equilibrio e dei sistemi di pesi e contrappesi istituzionali tipici degli altri sistemi democratici. Infatti il Capo del Governo, come capo politico del primo partito che vince le elezioni otterrebbe uno strapotere incontrastato sia nel Governo che in Parlamento. Sarebbe per legge sia il capo del Governo, sia il capo della maggioranza nella sola Camera che rimarrà. Dato che la maggioranza dei parlamentari sarà costituita da nominati e viste le modalità di elezione degli organi costituzionali di garanzia, il Capo del Governo non avrà nessun problema, ad esempio, nel far eleggere un Presidente della Repubblica a lui gradito o i membri della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura di nomina parlamentare. Avrà anche una maggiore influenza nella scelta dei dirigenti Rai, più di quanto non accada già, e nella composizione degli organismi di controllo come le Authority. Le leggi dell’esecutivo potranno avere sempre una corsia preferenziale; su queste leggi il Governo potrà continuare a porre la fiducia e a superare qualsiasi proposta di modifica con i maxiemendamenti. Infine, con la “clausola di supremazia” prevista dalla riforma, si darà allo stesso Governo, invece che al Parlamento, il potere di scavalcare le Regioni nell’attività normativa anche negli ambiti attualmente riservati alle Regioni.

UN CITTADINO TENACE INCONTRA RENZI E LO SPUTTANA! MASSIMA CONIVISIONE

L'ABBIAMO BECCATO DI NUOVO!
Ecco quello che la Tv non dice: Renzie è in giro per l'Italia a fare campagna elettorale per il sì coi nostri soldi e anche a Genova viene beccato da un contestatore... La verità che la tv non ti mostrerà mai! Usa il tuo smartphone per aiutarmi a diffondere questo ennesimo scandalo! #iovotoNO


Quando un sindacato ti sfrutta invece di difenderti. MASSIMA CONDIVISIONE

I sindacati sono nati per difendere i lavoratori e non per sfruttarli come invece è successo ad Antonietta. Guardate questo video denuncia de "Le Iene" e diffondetelo ovunque


IL VIDEO QUI VIDEO MEDIASET

martedì 29 novembre 2016

UN FIUME UMANO PER IL NO AL REFERENDUM. DIFFONDETE QUESTO VIDEO CENSURATO DAI MEDIA

“Noi vogliamo salvare il Paese che è in mano a cose che non conosco e controllato a mille chilometri di distanza”. Così Beppe Grillo dal palco di piazza Bocca della Verità a Roma a conclusione della marcia Cinquestelle. “Questa -ha detto Grillo- è una manifestazione di buonsenso con persone che portano avanti il buonsenso, noi siamo un movimento che è anche una tecnologia un esperimento. Siamo topi da laboratorio”. “Noi siamo un esperimento, gli eredi di un mondo nuovo che verrà“. “Gli altri – ha aggiunto Grillo – questi menomati morali stanno equipaggiandosi invece per un mondo che non c’è più”.

In testa al corteo tra gli altri Alessandro Di Battista, Paola Taverna e, oltre ad altri parlamentari Cinquestelle, la sindaca di Roma Virginia Raggi. “I politici italiani? Continuano a difendere i loro privilegi” ha detto la sindaca di Roma, Virginia Raggi. “I politici italiani -ha sottolineato la Raggi- si voltano dall’altra parte quando i cittadini scendono per strada”.


“Mettono nella nostra costituzione il fossile, vogliono tornare alla preistoria“, ha detto ancora Grillo dal palco. “Il no va deciso non con la testa, alla fine ti autocolpevolizzi, la mente è debole. Ma c’è il cervello che non sbaglia mai, è la pancia. Ci hanno fregato il cervello, fidiamoci del nostro istinto”, ha affermato ancora il comico. “Se vince il sì tornano con le trivelle, con i pozzi di petrolio e possono decidere se riattivare il nucleare, con le clausole di supremazia. Poi se fai una manifestazione per protestare non autorizzata rischi pure la galera. Noi siamo la rete, vogliamo dare gli strumenti ai cittadini”, ha concluso Grillo.

“L’ hanno fatta sporca, questa riforma è una truffa e i soggetti che l’hanno portata avanti sono dei truffatori. Chiamatela ‘fritturamistacrazia’, ‘Delucacrazia’, o come vi pare, ma non è democrazia” ha detto Alessandro Di Battista, al termine della ‘Camminata per la Costituzione’ di oggi a Roma. Dal palco di piazza Bocca della verità l’ex del direttorio, spiega che il Pd, se passa la riforma “avrà il 60% dei senatori automaticamente, visto che hanno tanti sindaci e governatori”. “Noi – ha concluso Di Battista – vogliamo riformare la Costituzione, ma levando l’obbligo di pareggio di bilancio, introducendo l’obbligo di dimissioni per i parlamentari che cambiano partito ed eliminando l’immunità parlamentare”.

Fonte: Adnkronos

BECCATO IL DEPUTATO ASSENTEISTA. VERGOGNA, QUESTI SONO I NOSTRI POLITICI

Luca Barbareschi aggredisce gli inviati delle Iene spediti a indagare sul suo assenteismo in Parlamento. L'episodio è di giugno, ma il video doveva andare in onda domenica. Bloccato dalla par condicio, è stato messo online per aggirare il divieto


lunedì 28 novembre 2016

"TAGLIARE LE POLTRONE? SAREBBE PERICOLOSO" AFFERMAZIONI GRAVISSIME DI NAPOLITANO! DIFFONDETE

Alla fine il grande capo l’ha ammesso: al referendum del 4 dicembre non si voterà per tagliare il numero dei parlamentari, ma per avere un “Senato che rappresenti i territori e che sia più snello”. Tradotto: per togliere il diritto dei cittadini di votare per i senatori e creare un Senato di nominati. Ma non ci aspettavamo che Napolitano ci rivelasse tutto.

Durante la puntata di Porta a Porta del 21 novembre scorso l’ex-presidente della Repubblica ha detto in merito all’obiettivo del referendum di domenica prossima: “Non condivido quelle motivazioni. Ma al referendum non giudichiamo Renzi. L’occasione per farlo la avremo alle prossime elezioni, fissate per il 2018″.

Napolitano conosce già la data delle prossime elezioni, ma la vittoria del No potrebbe cambiare tutto. Aspettiamo con ansia il 5 dicembre per conoscere il futuro di questo Paese.


ECCO COS'HA DETTO RENZI QUALCHE TEMPO FA SUL REFERENDUM. MASSIMA CONDIVISIONE

In principio fu “la madre di tutte le battaglie“. Con l’inevitabile conclusione che “se perdo vado via subito e non mi vedete più”. Promessa ribadita da Matteo Renzi in decine di occasioni pubbliche, accompagnata da diverse declinazioni del concetto “io non sono come gli altri, non resto aggrappato alla poltrona” (l’ultima: “non sono un pollo da batteria come loro”). Sulla stessa linea, pur con qualche oscillazione, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.

Ora però il premier fa inversione a U e lascia intendere che comunque andranno le cose alle urne resterà in sella con un nuovo incarico o come regista di un “governo di scopo” con cui traghettare il Paese fino alla fine naturale della legislatura nel 2018. In otto mesi, segnati dal risultato deludente delle amministrative, dall’avanzare del “no” nei sondaggi e dagli allarmi della stampa internazionale sul rischio di instabilità politica, la strategia del segretario del Pd è cambiata di 360 gradi. Ecco la cronistoria.

Matteo Renzi, 29 dicembre 2015, conferenza stampa di fine anno: “Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica”.

Renzi, 10 gennaio 2016, intervista al Tg1: “Il referendum non è un plebiscito ma è giusto che la parola passi ai cittadini. Per anni la classe politica non ha fatto niente. Adesso è arrivato un governo nuovo che ha cercato di realizzare alcune cose. Se sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo, hanno tutto il diritto di dirlo ed io ho il dovere di prenderne atto. Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale. Io penso che gli italiani staranno dalla nostra parte, ma la parola finale ce l’hanno loro e io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità”.

 Renzi, 20 gennaio, in Aula al Senato per il voto sulle riforme: “Ripeto qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica”.
Renzi, 25 gennaio, intervista a Quinta Colonna: “Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se sulle riforme gli italiani diranno di no, prendo la borsettina e torno a casa“.

Renzi, 7 febbraio, alla scuola di formazione del Pd: “Se perdo al referendum prendo atto del fatto che ho perso. Dite che sto attaccato alla poltrona? Tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona”.

Renzi, 12 marzo, alla scuola di formazione del Pd: “Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.

Renzi, 20 marzo, al congresso dei Giovani Democratici: “Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più. Ci hanno detto che siamo attaccati alle poltrone, ma noi siamo attaccati alle idee: non c’e’ un leader che resta per sempre”.

Renzi, 18 aprile, al Tg1: “La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere piu’ semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa”.

Maria Elena Boschi, 27 aprile, intervista a Otto e Mezzo: “Si voterà sul merito delle riforme: i cittadini sceglieranno su queste e molti si stanno formando un’opinione. Sono altri che cercano di trasformarlo in un referendum sul governo. Renzi ha solo detto: ‘se perdiamo andiamo a casa’. Ma questo e’ un segnale di serietà. Se un governo ha avuto il mandato da Napolitano a fare le riforme” se queste poi non passano “è normale che prenda atto di questo voto. E’ un atto di serietà”.

Renzi, 28 aprile, diretta Facebook e Twitter #Matteorisponde: “Io sono tra i pochi politici che dico quando perdo che ho perso. Altri quando perdono spiegano che hanno vinto. Se il referendum vedrà sconfitto il si trarrò le conseguenze. So da dove vengo e so che la politica è servizio. Sto personalizzando? No, se perdi una sfida epocale che fai? Racconti che i cittadini hanno sbagliato? No hai sbagliato tu”.

Renzi, 2 maggio: “La rottamazione non vale solo quando si voleva noi…. Se non riesco vado a casa” (Ansa)




Renzi, 4 maggio, a Rtl 102.5: “Meno politici, più chiarezza nei poteri delle regioni, un’Italia più semplice: non è la mia riforma ma quella che l’Italia aspettava da 30 anni. Per attaccare il governo si dice di discutere nel merito e io sono per parlarne nel merito. Ma se perdo non resto come i vecchi politici aggrappato alla poltrona. Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone”.

Renzi, 8 maggio, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa: “Se io perdo, con che faccia rimango. Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica. Non è personalizzazione ma serietà. Lo so che si aggrappano alla poltrona ma non posso fare finta di niente”.

Renzi, 11 maggio: “Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro” (Ansa)

Renzi, 18 maggio, #Matteorisponde: “Quando provo a entrare nel merito, mi dicono che ho personalizzato il referendum. Ma io ho detto che se perdo non è che posso fare la faccia contrita e dire schiarendomi la voce che dopotutto è stato un buon risultato. Io cerco di vincere, sempre, quando perdo, talvolta mi è accaduto come alle primarie del 2012, ammetto la sconfitta”.

Renzi, 21 maggio, a L’Eco di Bergamo: “Se lo vinciamo, l’Italia diventerà un paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa e’ serietà”.

Boschi, 22 maggio, a In mezz’ora: “Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via”. “Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità. Abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico”.

Ernesto Carbone, membro segreteria Pd – 22 maggio: “Non si lascia la politica se vince il no per fare un dispetto, non si scappa con la palla in mano. E’ una questione di serieta’, banalmente”. “Io ho preso l’impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa. Non la vedrei come una personalizzazione del referendum ne’ un ricatto”. (Ansa)

Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali – 29 maggio, intervista a Repubblica: Il ritiro in caso di vittoria del no “mon è una minaccia, non è una personalizzazione. A me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo, ed è agli atti, nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio. Anche perché non stiamo scegliendo tra due riforme diverse, che è il tema più surreale usato da alcuni costituzionalisti. Stiamo scegliendo tra la riforma e niente”.

Renzi, 29 giugno, e-news: “In tanti stanno cercando di non parlare del merito del referendum. Fateci caso: vanno in tv e non parlano del merito, perché sul merito sanno che la riforma non è perfetta ma è un passo in avanti nella direzione attesa da decenni. No, loro non parlano di merito. Parlano di me. Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare unpollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro?”.

Renzi, 15 luglio, e-news: “Ogni giorno che passa diventa piu’ chiaro che il referendum è sulla Costituzione, sul funzionamento del Parlamento e non su altro: questo ci aiuta molto a crescere nei consensi, coinvolgendo anche persone che magari non sono del Pd o mie sostenitrici ma che capiscono la rilevanza storica di questo passaggio per l’Italia”.

Renzi, 2 agosto, intervista a Cnbc: “Sono sicuro che vincerò il referendum, ma non perché questa sarebbe la mia vittoria, non è il referendum di Renzi”. Si dimmetterà se perde? “Vincerò”.

Renzi, 21 agosto, Versiliana: “Si vota nel 2018”. Comunque vada il referendum? “Sì, si vota nel 2018”.

IL M5S RESTITUISCE AI CITTADINI 80 MILIONI DI EURO. DIFFONDETE

Beppe Grillo è arrivato a Firenze per partecipare al Restitution Day organizzato dal Movimento 5 Stelle. Scortato da fotografi e cameraman, Grillo ha percorso a piedi il breve tratto che separa piazza San Firenze da piazza della Signoria. Con lui una decina di parlamentari, tra cui Alessandro Di Battista.

”Oltre 80 mln di ragioni per dire no”: è questo il titolo del comunicato con cui il Movimento 5 Stelle annuncia di aver ”rinunciato, restituito e donato oltre 80 mln di euro” tra rimborsi elettorali e stipendi dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle nelle istituzioni. A Firenze M5S ha spiegato che ”questa cifra è stata realizzare senza aspettare nuove leggi e senza stravolgere 47 articoli della Costituzione. Sono oltre 80 mln di ragioni per votare no alle bugie di Renzi”.


“Abbiamo lasciato questa cifra enorme, di cui avevamo diritto, 80 mln di euro, senza leggi, leggine e decreti, dimostrando che si può fare qualcosa per passione e per amore verso il prossimo. Questa cifra è il frutto dei sacrifici fatti”, ha detto Beppe Grillo parlando a Firenze.

“Abbiamo fatto anche errori – ha aggiunto – ma questo Movimento è nato dall’impossibile. Loro non riescono a capirlo“. “Non esiste al mondo un movimento politico che ha avuto un successo come il nostro senza l’impegno di soldi – ha proseguito -. Noi siamo un Movimento nato dall’impossibile e loro non riescono a capire come sia possibile e infatti si chiedono che cosa ci sia dietro oppure si inventano le macchinazioni delle multinazionali”.

Per far parlare di questa manifestazione a Firenze – ha scherzato Grillo ricordando la sua caduta sabato scorso in una buca a Roma durante la manifestazione per il no al referendum – dovrò cadere in una buca. Le buche le ho cercate anche qua e ci sono anche a Firenze e io sono riuscito a raggirarla una per un attimo”.

In Italia, ha continuato il leader pentastellato parlando di referendum e scenari post referendari, “non è mai esistito un governo tecnico. E’ sempre stato politico e dietro a un politico c’e’ sempre un tecnico. Quindi sono parole senza senso”. Se dovesse vincere il no al referendum, ha aggiunto rispondendo ai giornalisti, “non so cosa avverrà”. “Spero ci sia la possibilità di votare le persone, di avere una votazione libera, scegliersi una legge elettorale”.

Prima di lasciare Firenze, Grillo si è concesso a fotografi e cameramen in piazza della Signoria imitando il gesto che Silvio Berlusconi, fece qualche anno fa in piazza a Milano. “Faccio una foto come se fosse il predellino“, ha aggiunto il leader M5S salendo sul predellino del taxi prima di salutare giornalisti e fotoperatori.